RELAZIONE
I fenomeni di
spopolamento di vaste aree periferiche del paese, anche a seguito dell’emigrazione
all’estero delle giovani generazioni, accentuati dall’innalzamento dell’età
della popolazione residente e dalla denatalità, si pongono in termini sempre
più allarmanti per il nostro paese. Infatti, secondo i più recenti rilevamenti
Istat la popolazione residente è già scesa sotto i 60 milioni di abitanti, un
fenomeno che ha riguardato, oltre che in particolare il Mezzogiorno e le isole,
quasi tutti i borghi con meno di 10.000 anime che, rispetto al 1951, ne hanno
perso quasi 300.000. Peraltro, se si accentua questa tendenza sembrerebbe che
la popolazione in Italia intorno agli anni Cinquanta del presente secolo non
solo si aggirerebbe intorno ai 50 milioni di abitanti, cosa che comporterà una
drastica riduzione del Pil, ma accadrebbe anche che poco più di una persona su
due si troverebbe in età lavorativa. Compromessa appare non solo la
corresponsione delle pensioni per effetto delle sempre minori contribuzioni dei
lavoratori in servizio, ma anche lo stesso welfare mentre alcune attività come
quella turistica, agricola e edilizia già ora avverte una notevole mancanza di
addetti. Analoghi problemi si segnalano anche in comparti prima ritenuti al
sicuro come la sanità, l’edilizia, la scuola e, perfino, la pubblica
amministrazione con il calo dei partecipanti ai concorsi pubblici (o il rifiuto
di eventuali vincitori di spostarsi dal Sud al Nord del paese, per
l’inadeguatezza delle retribuzioni difronte al costo della vita) che crea non
poche difficoltà anche ai piani di attuazione del Pnrr. In tutti i casi, come
segnalano autorevoli analisi internazionali, la rinuncia a quelle che si
definiscono “intelligenze fluide”, tipiche dell’età giovanile, a favore di
quelle cosiddette “cristallizzate” delle età più mature, comporterà solo
conseguenze negative per lo sviluppo economico del paese.
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